Uomo e natura nell'arte

 

Dagli uomini preistorici ai moderni della pop art o del surrealismo, l'attività artistica ci appare come una lunga e inesauribile spinta creativa che presuppone l'esistenza, a monte, di una corrispondente necessità interiore.

 

I dipinti ritrovati sulle pareti delle grotte di Lascaux in Francia, risalenti a 15.000 anni prima della nostra era, sono indicativi di come l'arte ebbe originariamente un fine più ritualistico e religioso che estetico. Le religioni di tutto il mondo hanno sempre suscitato nell'uomo grandi fervori creativi, soprattutto nell'arte, ma non solo.

 

Gli antichi egiziani, così come gli incas per esempio, non conoscevano ancora quella netta separazione tra il campo spirituale e quello culturale, artistico e scientifico esistente ai nostri giorni. La religiosità naturale dell'anima (Jung parla di anima naturaliter religiosa) stava ancora, consapevolmente, al centro di ogni attività, soprattutto quella artistica. Ma che cos'è la religiosità? E’ forse un tentativo di rimediare, nel fantasma, a certi dubbi e a certi interrogativi cui al momento non è possibile rispondere sul piano della realtà? Com'è noto, Freud è di questo avviso. Se paragoniamo le religioni a dei sistemi di pensiero fantasmatici, cioè corrispondenti a desideri inconsci e obbedienti quindi al principio di piacere anziché al principio di realtà, dovremmo allora concepire l'arte in maniera altrettanto riduttiva (e dico riduttivo non tanto in senso morale, ma intendendo un procedimento intellettivo che tende a riportare, cioè a ridurre certe motivazioni umane ad altre motivazioni o idee di più bassa natura o addirittura a delle cause materiali). Le impronte lasciate dei colpi di lance sui dipinti animali delle grotte preistorici sarebbero pertanto da interpretare come dei tentativi di soddisfare, magicamente, ai bisogni di cibarsi e di aumentare le speranze nel buon esito della caccia (si tratterebbe insomma di una operazione apotropaica). Ma forse questa spiegazione, frutto di una nostra volontà teorico-interpretativa, deriva essa stessa da un nostro fantasma.

 

Certo, oggi molti studiosi hanno adottato il punto di vista freudiano. Il motivo di ciò sta nel fatto che l'intellettuale affronta le esigenze della vita basandosi principalmente sul pensiero, che è solo una delle tante funzionalità dell'animo. Si tratta in verità di una funzione di gran peso che è stata giustamente elevata da Jung al rango di funzione psichica fondamentale, assieme però ad altre non meno importanti. Il medico di Kusnacht ha avuto molti meriti, tra cui quello di farci capire che è impossibile essere perfettamente obiettivi nei nostri giudizi perché questi sono sempre determinati, in misura minore o maggiore, dal nostro tipo psicologico, dal nostro carattere. Senza addentrarci più profondamente in questa questione, notiamo soltanto che il punto di vista psicoanalitico classico privilegia il pensiero e la razionalità, tanto da voler logicizzare (vedi Lacan) e quantificare le dinamiche interiori. Ma il razionalismo, sovrastando l'intuizione e il sentimento, ci allontana dalla vera fonte e dalla vera funzione dell'arte.

 

Molto probabilmente, in origine l'attività artistica corrispondeva ad una tecnica (perché la tecnica è sempre presente, fin dall’inizio, nel discorso artistico. Ritengo però che inizialmente techné e psyché fossero ancora armoniosamente combinati) di recupero d'anima (grado di coscienza, forza morale, memoria...). Anche oggi, superato il boom dei metodi e delle concezioni oggettivanti nelle discipline umanistiche (che tentano di ridurre la psiche ad un qualche sostrato materiale, biologico, genetico, comportamentistico…), l'arte si sta riscoprendo come un mezzo per contattare una dimensione psichica più profonda, quella dell’inconscio animistico agganciata all'inconscio collettivo e ai suoi archetipi. Una cosa viene oggi accettata quasi all'unanimità: l'intento profondo dell'artista non è quello di esibirsi nella mera riproduzione tecnica di un oggetto, ma di giungere alla creazione di una delle tante possibili immagini di un suo stato d'animo, di una sua realtà interiore.

 

Prendiamo per esempio l'arte africana tradizionale: pur non avendo subito tutte le influenze culturali che hanno resa quella europea così ricca ed elaborata, essa presenta delle forme e delle proporzioni tutt'altro che primitive e realistiche (del resto nemmeno un quadro come la Gioconda può obiettivamente essere definito realistico). Non che gli artisti africani non siano tecnicamente in grado di raggiungere un certo grado di perfezione: semplicemente, un vero artista (non mi riferisco ovviamente ai professionisti che considerano l'arte un business, ma a coloro che operano per esigenza interiore) non prova nessun stimolo particolare a ricopiare la realtà esteriore tale e quale. E nemmeno il fruitore prova molto gusto davanti a simili prodotti. Questo perché, nella sua essenza, l'arte consiste in una proiezione dell'inconscio e il suo fine è l'integrazione di quest'ultimo nella coscienza dell'artista (così come, indirettamente, in quella del fruitore in quanto l'inconscio esprime spesso valori e significati universali). Quindi, come già ebbi a dire anni fa1, arte e proiezione, arte e investimento inconscio vanno di pari passo. Finché un contenuto costellato nell'inconscio non viene soddisfacentemente compreso dall'artista, continuerà a produrre motivi sempre affini (il che spiega i famosi periodi singolari che attraversano gli artisti, come ad esempio il periodo blu di Picasso).

 

Come risulterà ormai chiaro, dal nostro punto di vista, più intuitivo, l'arte appare con una vera e propria ricerca di sé stessi. E conoscere se stessi sembra del tutto naturale per gli esseri autocoscienti che siamo. Tuttavia, tale spontaneità, soprattutto a causa del nostro modello di vita che tende ad estrovertire il nostro interesse, a mandarci fuori da noi stessi, si perde facilmente di vista. Ritrovarla esige spesso un enorme sforzo da parte nostra2. Si può dire che l'arte naturale favorisce un simile ritrovamento. È una tecnica molto semplice che avvicina l'artista alla propria completezza psicologica. Infatti, la camminata in natura opera come un rituale spontaneo, un rite d’entrée che aiuta il soggetto a rientrare in sé stesso. Solo allora l’artista può recuperare la sensibilità necessaria per potere cogliere le bellezze naturali.

 

Molti ricercano la creatività nella hybris, nella esaltazione del loro ego e identificano l'arte all'abilità tecnica tout court. Persino nelle scuole è stato adottato quest'ultimo punto di vista. Ricordo un analizzato che mi confessò, con una espressione mista di rimpianto e piacere, di essere stato bocciato all'esame di ammissione ad un istituto superiore d'arte per avere disegnato il viso dell'insegnante al posto della natura morta proposta inizialmente come tema, e ciò nonostante insegnante e direttore si erano soffermati a lungo ad ammirare il suo disegno.

 

Gli artisti che mirano all'affermazione del loro ego si svuotano pian piano dei loro stimoli naturali. E, insensibili al "sottile operare della natura dentro di loro", cercano di esasperare quelle poche idee prive di vita che loro rimangono. E quando tale mezzo non è la droga, esso consiste allora in un intellettualismo sfrenato e antipatico che li condanna a rimanere prigionieri del loro “surrealismi”. Tale atteggiamento contrasta fortemente con il nostro. Il vero artista sposa la propria arte, deve mantenersi ricettivo alle sollecitazioni provenienti dall'inconscio e andare quindi, inevitabilmente, verso un ridimensionamento del proprio ego. Questo avviene in alto grado nell’arte naturale dove il ruolo di protagonista viene lasciato volutamente alla Natura e dove diventa evidente l’apertura del soggetto verso un più grande di sé trascendente (la Natura). Vista da questa prospettiva, l’arte naturale sembra volere compensare, apportare un rimedio alla perdita d'anima così evidente che colpisce il mondo moderno e in particolare l'arte contemporanea. C'è da dire che i germi di quest’arte erano già presenti da tempo in alcuni artisti particolarmente sensibili. Max Ernst per esempio, diceva di essere "affetto da sculturite". Ma le prove forse più evidenti di una simile tendenza le ho riscontrate in una intervista rilasciata dall'artista svedese Staffan Nihlen apparsa su di un quotidiano: "ciò che per lungo tempo ho cercato di realizzare in un blocco di marmo posso poi vederlo all'improvviso in una pietra trovata per caso, che si lascia dare forma senza sforzo.

 

Quando un'artista è preso dal tema che lo interessa, lavora come in trance, è compreso nel suo compito ed è spinto dal sentimento di essere come guidato da un altro". Ad accattivare l'interesse in quel caso è dunque un “mistero” che si manifesta dentro e a tempo stesso attorno a sé. Nella pratica, l'effetto che ne risulta è che, più ci si addentra in quel mistero, più la Natura sembra rispondere ai propri stati d’animo e quesiti. Per esempio, vagando nella Natura senza una meta definita, capita di incappare in forme e oggetti naturali particolarmente belli e affascinanti, che comunque richiamano la nostra attenzione.sembra in quei momenti di assistere ad una combinazione tra mondo interiore e natura esteriore, microcosmo e macrocosmo. Come è noto, a questo genere di coincidenze Jung diede il nome di sincronicità

 

Alcuni accenni sulla tecnica

 

L'arte naturale consiste innanzitutto nel "sapeva vedere" in certi oggetti naturali quali pietre, pezzi di radici o di rami curiosamente formati ho attorcigliati, dei simboli di nostri attuali stati d'animo, nostri e di quello del mondo a cui apparteniamo. Il secondo atto consiste nel pulire (solo se necessario) e, volendo, nel modificare lievemente quei frutti della provvidenza, tanto per sigillare una alleanza tra il nostro io e l'inconscio. Il terzo atto comprende la loro ubicazione del luogo della mostra o semplicemente nella propria dimora. Le opere potranno poi essere intitolate a secondo dell'ispirazione, oppure lasciate senza titolo nel caso non siano ancora state soddisfacentemente comprese dall'artista. Esse possono anche abbinarsi a prodotti creativi inerenti al proprio lavoro di amplificazione e di integrazione dell'inconscio.

 

Per esempio a delle poesie o a dei disegni. Il valore estetico dipenderà quindi anche del senso espresso dall'opera e del lavoro interiore compiuto dall'artista. Questo fa sì che qualcosa di apparentemente grezzo o di insignificante possa risultare altamente artistico. Infatti, le cose grezze sono da apprezzare quando evocano efficacemente una realtà psicologica corrispondente nell'anima dall'artista/fruitore. Gli oggetti trovati, indipendentemente dai criteri convenzionali di bellezza, diventano allora come dei souvenir che costellano l'itinerario artistico e interiore di ciascuno.

 

Antoine Fratini

 

1 Antoine Fratini, Fantasia, arte e pulsione, fascicolo edito dall'Associazione C.G.Jung di Fidenza

 

2 Antoine Fratini, Parola e Psiche (Armando, Roma 1999)